Ritorno tra i pascoli della Valsassina

13 luglio 2020

Tra la Culmine di San Pietro, Cima Muschiada e il Monte Due Mani

Durante la quarantena il desiderio di andare in montagna si era trasformato in inutile ossessione. Dico inutile perché quando le cose sono tornate a una pseudo-normalità, la voglia di andar per monti si è sciolta come neve al sole. Forse il torpore del corpo aveva intaccato anche lo spirito. C’è voluto un po’ di tempo: la bicicletta, qualche corsa, un paio di giornate di lavoro in campagna; solo a quel punto sono tornato a pensare alle montagne con entusiasmo. Un giorno mi sono svegliato e avevo voglia di scegliere una meta, informarmi e preparare lo zaino.

C’è un luogo della Valsassina dove non sono mai stato e guarda caso durante la quarantena avevo acquistato una guida dedicata proprio a quella zona, il volume PREALPI LOMBARDE della collana DA RIFUGIO A RIFUGIO di Silvio Saglio (1957). Il luogo in questione è la Culmine di San Pietro (1258 m), l’unico passo carrozzabile che collega la Valsassina alla Val Taleggio e quindi alla Val Brembana.

Disegni di Fausto Cattaneo dalla guida escursionistica di Saglio dedicata alle Prealpi Lombarde.

Mi informo e scopro che dalla Culmine di San Pietro sono due le gite più gettonate: ai Piani di Artavaggio o al Monte Due Mani. Per dislivello e lunghezza sono percorsi simili, ma scelgo il Due Mani senza pensarci perché voglio raggiungere una cima. Questo monte definisce il versante orientale che domina il Colle di Balisio in alta Valsassina; sulla sua cima sorge un bivacco dedicato alla memoria di tre giovani, Marco Locatelli, Plinio Milani ed Enrico Scaioli, scomparsi nel 1980 durante una salita della Cresta Segantini, in Grignetta. Grazie a un’intricata rete di sentieri il Due Mani è una meta frequentata. Per farsene un’idea basta dare uno sguardo qui sotto, dove Silvio Saglio descrive le tante possibilità per arrivare alla cima.

Articolo dedicato al Monte Due Mani tratto dal numero de Lo Scarpone del 1 febbraio 1943. Ovviamente firmato dal solito Silvio Saglio.

Siamo io e mio padre, anche per lui è la prima uscita dalla fine della quarantena; il morale è alto! La prima parte del percorso segue una strada sterrata che dalla Culmine di San Pietro si dirige verso Olino, una delle località di Morterone, il più piccolo comune italiano. La strada si mantiene a mezzacosta alla testata della Val Rémola, una valle secondaria della Val Taleggio. Si incontrano diverse baite, alcune ancora attive, e diversi pascoli sfruttati. È bello vedere che la montagna è viva quassù, anche se non come un tempo. La maggior parte delle costruzioni sono infatti abbandonate, ma poche sono in rovina.

Le baite antiche sono magnifiche, con i muri di pietra calcarea e grandi ciliegi a fare ombra nel mezzo di ampi pascoli. Molto spesso gli alberi che si trovano a ridosso delle vecchie baite sono grandi ciliegi secolari piantati dall’uomo. Ingenuamente pensavo che il motivo fosse il desiderio di avere a disposizione i frutti in primavera, ma più realisticamente non erano le ciliege a ingolosire i pastori, bensì -come svelato da mio padre- gli uccelli attratti da quei frutti. Cibi antichi, per tempi che non esistono più.

Dalla Culmine la strada raggiunge in breve la Bocchetta di Ferrera, in corrispondenza di una bella baita-agriturismo. Più avanti prosegue in leggera salita fino alle casere Muschiada -i nuclei di baite forse più pittoreschi tra i tanti che si incontrano. Poco prima di raggiungere il primo dei due nuclei, il percorso abbandona la strada sterrata per imboccare un sentiero che sale deciso verso destra, a raggiungere in breve la Bocchetta di Redondello, dove la vista si apre sulla Valle dei Dòngoli, verso Maggio e la Valsassina (circa un’ora dalla culmine). Da qui il sentiero aumenta di pendenza e si inerpica a sinistra lungo i versanti di Cima Muschiada.

Una bella cima questa Muschiada, coperta da un folto bosco da cui forse prende il nome. Nascoste dalla vegetazione si intravedono qua e là le rocce fittamente stratificate che la costituiscono. Sono affioramenti importanti, testimoni dell’antica geografia di questi luoghi, quando al posto di cime e vallate si susseguivano gli ampi bacini sedimentari sommersi che hanno portato alla formazione delle rocce calcaree e dolomitiche che oggi formano le Grigne, il Resegone, il Due Mani e buona parte delle altre cime della Valsassina.

Dalla Bocchetta di Redondello si raggiunge con breve ma ripida salita un pianoro di prati al cui centro si trova una pietra confinaria. Da qui ci si può dirigere alla vetta della Cima Muschiada (breve traccia che sale a sinistra verso un bosco), oppure, si prosegue direttamente a destra in discesa, lungo il sentiero che porta alla Bocchetta di Desio e al Monte Due Mani. Qui il percorso abbandona i pascoli ed entra in una fitta foresta di faggi. Con qualche saliscendi, attraversando boschi e prati, si raggiunge la Bocchetta di Desio e il rudere di una grande cascina, la Pramira (mezz’ora circa dalla Bocchetta di Redondello).

Qui il sentiero risale il fianco occidentale del Monte Due Mani e con uno strappo guadagna 250 metri di quota. È l’unico tratto faticoso del percorso, ma la salita non è troppo lunga. Con buon passo basta mezz’ora per arrivare alla cima dalla Bocchetta di Desio. Il sentiero attraversa un bosco che si fa via via più rado, fino a lasciare spazio a prati rocciosi. Il percorso non raggiunge subito la cima, ma tocca prima la Bocchetta di Bertena, che separa lo Zucco di Desio a destra, dal Monte Due Mani a sinistra. Dalla bocchetta si prende la traccia a sinistra che percorre la cresta sommitale del Due Mani, raggiungendo in pochi minuti il bivacco e la croce di vetta, a 1655 metri.

Durante tutta la gita ho scattato parecchie fotografie, soprattutto alle vecchie baite e ai grandi alberi solitari in mezzo ai pascoli. Solo qualche giorno più tardi ho scoperto che purtroppo il rullino era fissato male. Il risultato è stato una striscia di negativi trasparenti, ovvero non esposti. Peccato, credo che qualche buona fotografia sarebbe saltata fuori, ma se si è deciso di scattare in analogico questi rischi bisogna metterli in conto. Con il senno di poi non sono nemmeno così dispiaciuto. Ho come l’impressione che quando per un motivo o per l’altro non si hanno fotografie di una giornata, alla fine la si ricordi meglio, perché ci si impegna di trattenerne i ricordi.

Dalla citata guida di Silvio Saglio (1957).

Questa camminata tra pascoli e boschi ha confermato una convinzione che ho da tempo. Percorrendo le montagne penso spesso che i monti si manifestino a noi attraverso due personalità opposte. O meglio, penso che chi percorra le montagne abbia due modi di interpretarne le atmosfere. Alcune volte l’ambiente è così selvaggio e impervio da lasciarci senza parole, atterriti e affascinati allo stesso tempo. Altre volte -ed è questo il caso- la montagna indossa una veste sorridente e ci mostra una bellezza semplice e familiare. Non preferisco una o l’altra di queste, chiamiamole personalità. Ci sono periodi in cui ricerco la prima e altri in cui sono più attratto dalla seconda. Credo dipenda molto dai miei pensieri e dal mio stato d’animo. Questa volta volevo trovare un paesaggio amico, che si lasciasse ammirare senza scomodare emozioni contrastanti. Una montagna bella da osservare, di quelle che ti fanno pensare “pensa se la mia vita fosse in quella baita…”.

(gita del 12 giugno 2020)

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One thought on “Ritorno tra i pascoli della Valsassina

  1. Senz’altro una bella escursione. Mi ha ricordato molto la salita al Resegone, tra l’altro vicinissimo, in particolare quel bel strappo finale rompigambe…..
    Peccato per il nebbione in vetta che ha impedito un giro di orizzonte che sarebbe stato spettacoloso….tocca salirci un’altra volta in una giornata di bellissimo sereno…

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