2 Agosto 2021

Coltivare un vulcano in mezzo al mare
Pantelleria: l’isola degli alberelli
Chi immagina un vigneto pensa alla distesa di filari, con le viti una dopo l’altra aggrappate ai fili. A Pantelleria le cose funzionano diversamente: nonostante si producano ottimi vini (il Pantelleria è il vino DOC più meridionale d’Italia), sull’isola non c’è ombra di un filare. Qui le viti si coltivano in modo diverso: ad alberello.
Il vigneto pantesco è un quadro astratto: fondo di terra rossa, cornice di massi neri e macchie verdi. Ogni macchia è un cespuglio alla giusta distanza in modo che non si tocchino l’uno con l’altro. Sono le viti ad alberello, che qui non hanno alcun sostegno e crescono come arbusti spandendo i tralci a terra. Se si osserva il vigneto dall’altezza del terreno le piante sembrano minuscole, perché solo la parte alta dei cespugli è ben visibile. Le piante sono al centro di una buca e per apprezzare il vigneto bisogna osservarlo dall’alto.
Prima di arrivare a Pantelleria avevo già sentito parlare di questa particolare coltivazione. Mi immaginavo un’isola simile ad altre isole vulcaniche del Mediterraneo, ma con in più qualche alberello di vite qua e là. Quanto mi sbagliavo! Pantelleria è un’isola che non saprei paragonare a nessun’altra delle piccole isole del Mediterraneo, con un paesaggio e un’agricoltura davvero particolari.
Nonostante sia impervia, arida e calda, -è più vicina alle coste tunisine che non alla Sicilia- quasi tutta la superficie di Pantelleria è terrazzata, come ho visto soltanto su alcune isole dell’Egeo. Anche i versanti più ripidi portano i segni di antichi terrazzi e in ogni dove si alternano campi di vite, ulivo e capperi. E come se non bastasse le poche zone che non sono state lavorate ospitano fichi, fichi d’india e le altre piante della macchia mediterranea, con lecci, ginepri e lentischi a farla da padrone. Pantelleria è un giardino, uno scoglio verde in mezzo al mare.

Perché il paesaggio di Pantelleria è unico?
Il paesaggio è l’intreccio inestricabile tra le opere della natura e quelle dell’uomo. Queste due anime sono inscindibili perché è proprio la loro unione che definisce il concetto di paesaggio. Il paesaggio è poi qualcosa che percepiamo, non un semplice sfondo per le nostre esperienze. Ognuno lo percepisce secondo la propria sensibilità. È un elemento culturale che lascia nella sua interpretazione una parte importante alla soggettività. Ciò che rende un paesaggio più forte di altri è la profondità di questa percezione, specialmente da parte di chi lo vive traendone sostentamento. A Pantelleria il legame tra il paesaggio, i suoi abitanti e l’agricoltura è talmente stretto che si può dire che l’isola intera è paesaggio.
L’opera dell’uomo qui è stata intensa, ma è stata sempre condotta rispettando il territorio e cercando di mantenere con esso un dialogo costruttivo. È questo il valore inestimabile del paesaggio pantesco. Ogni intervento è frutto di una mediazione limata nei millenni tra le esigenze dell’uomo e le caratteristiche climatiche, geografiche e geologiche dell’isola. Gli stratagemmi escogitati per renderla coltivabile e ospitale sono unici: un paesaggio incredibile per un’isola straordinaria.
Pantelleria ha due facce ed è per questo se è popolata dall’alba dei tempi e se il suo paesaggio è così particolare. Fertile e ricca di risorse, ma allo stesso tempo povera d’acqua e sferzata dai venti. A plasmare il paesaggio dell’isola è stata la volontà di conciliare queste due anime. Per rendere Pantelleria coltivabile l’agricoltura si è sviluppata in tempi lunghissimi, seguendo una strada tutta sua che ha portato alla creazione di un paesaggio irripetibile. Proteggere le piante dal vento, sfruttare ogni goccia di umidità e ricavare campi tra le impervie colate laviche. Sono questi i principi che si nascondono dietro al lavoro dell’uomo a Pantelleria. Forgiando l’isola i panteschi hanno creato un luogo dove l’asprezza della natura si è trasformata in un punto di forza.
Il paesaggio di Pantelleria affonda le sue radici nell’agricoltura, ma non si limita a essa. Non solo le colture vanno protette dalla forza della natura, anche i suoi abitanti. Il dammuso, la costruzione pantesca, nasce così. Costruito rigorosamente in pietra vulcanica, esso offre riparo dai venti e dalla calura estiva e a assorbe il calore del sole nei periodi freschi. Il tetto ha la forma adatta alla raccolta dell’acqua piovana.
A Pantelleria le opere dell’uomo hanno funzioni che rispondono a precise caratteristiche naturali. Il fatto poi che sia un’isola, ha fatto sì che tali opere siano state realizzate utilizzando l’unico materiale disponibile, la pietra vulcanica. Ciò ha fatto sì che elementi naturali e umani a Pantelleria si alternino in perfetta armonia. Osservando le campagne dell’isola non è facile distinguere i muretti a secco, i dammusi e le rocce vulcaniche. Ogni elemento dialoga con gli altri e si percepisce la vicinanza tra il mondo naturale e quello umano. È un paesaggio equilibrato, nato da una convivenza antichissima.
Sembrerà strano che il mare non sia fondamentale rispetto a Pantelleria e al suo paesaggio quanto lo è invece l’agricoltura, ma in realtà una simile distanza non è poi così rara nelle piccole isole. Il Mediterraneo a Pantelleria c’è e lo si avverte ovunque, ma sempre come uno sfondo che non partecipa davvero alla vita dell’isola. I suoi influssi solo a malapena raggiungono l’entroterra. I contadini panteschi hanno attenzione solo per la terra e per l’agricoltura cui sono visceralmente attaccati. La pesca e la frequentazione del mare sono pratiche secondarie che sono oggi popolari per via del turismo, ma che prima non trovavano molto spazio nella quotidianità pantesca. Forgiare un’isola così difficile deve essere stato talmente faticoso che quegli sforzi sono entrati nelle corde più profonde dell’animo degli isolani, creando un rapporto simbiotico tra Pantelleria, l’agricoltura, il paesaggio e i suoi abitanti.
Pantelleria: la perla nera del Mediterraneo
Pantelleria è la più grande isola vulcanica del nostro paese. Da un punto di vista geologico l’isola è giovane e ha poche centinaia di migliaia di anni. La sua struttura è il risultato di numerosi cicli di attività vulcanica. Ognuno ha contribuito a scolpire la morfologia di Pantelleria, andando a distruggere e modificare le strutture geologiche preesistenti. Le tozze alture a forma di cupola che costellano l’isola (le kuddie) sono le ultime tracce dei vari epicentri dell’attività eruttiva.
Nella regione siciliana ha luogo il contatto tra la placca tettonica africana e quella euro-asiatica, un contesto definito compressivo, poiché lo scontro tra le due placche le schiaccia l’una sull’altra. Ciò ha prodotto il sollevamento di catene montuose (Catena Calabro-Peloritana) e lo sviluppo di archi vulcanici (Eolie). Nonostante la vicinanza geografica, i vulcani di Pantelleria e Linosa non hanno però nulla a che fare con questi elementi della tettonica centro-mediterranea.
Pantelleria (come anche Linosa) è un vulcano sorto in un contesto distensivo, che come suggerito dal nome descrive un regime opposto a quello compressivo. In un regime distensivo i movimenti tettonici allontanano le placche, talvolta “aprendo” una placca in due parti. Una dinamica di questo tipo indebolisce la crosta terrestre, favorendo la risalita di magmi dalle profondità. Questa è la storia di Pantelleria.
L’esistenza dell’isola è dovuta al fatto che la regione Tunisina e quella Siciliana si stanno allontanando. Il Canale di Sicilia ospita un rift: un sistema di faglie e spaccature prodotto dalla distensione e costellato di vulcani. Due di essi affiorano in superficie: Pantelleria e Linosa. Per un breve periodo anche un terzo edificio è emerso dal mare. È l’Isola Ferdinandea, esistita per pochi mesi nel 1831 a metà strada tra Pantelleria e la Sicilia. Questa è però un’altra (interessantissima) storia che poco ha a che fare con il paesaggio e l’agricoltura di Pantelleria. Aiuta però a cogliere quanto sia geologicamente dinamico questo angolo del Mediterraneo.

È stata l’origine vulcanica a far sì che Pantelleria fosse frequentata fin dall’antichità. L’ossidiana che si trova sull’isola è stata rinvenuta in tutto il Mediterraneo Occidentale, a indicare che essa fu al centro di uno snodo importante. L’isola è abitata da migliaia di anni e per lungo tempo è stata una delle principali fonti del prezioso vetro vulcanico. Oltre che l’ossidiana, gli archeologi hanno trovato in tante località anche le ceramiche prodotte sull’isola. Grazie al miscuglio di argilla e prodotti vulcanici, erano ricercate per la resistenza alle alte temperature.
Se l’isola è così fertile lo deve ancora una volta alla sua natura vulcanica. I suoi terreni sono ricchi di sostanze minerali e forniscono alle piante nutrimenti abbondanti e facili da assimilare. Per rendere questo potenziale sfruttabile è stato però necessario rimediare alla mancanza d’acqua e alla furia dei venti. Sull’isola cadono solamente quattrocento millimetri di pioggia ogni anno e non è raro che durante l’estate non piova mai. Il vento soffia impetuoso per buona parte dell’anno, sferzando l’isola da nord (maestrale) o da sud (scirocco).
Già gli antichi cercarono di rimediare all’aridità di Pantelleria costruendo cisterne per l’acqua piovana e mettendo a punto delle pratiche che limitassero il consumo di acqua. Per combattere il vento costruirono invece muretti a secco intorno ai campi, potando le piante in modo che il vento non le sradicasse. L’insieme di questi stratagemmi e pratiche definisce agricoltura e paesaggio di Pantelleria.
Agricoltura pantesca
Vite ad alberello

Se c’è un simbolo dell’agricoltura e del paesaggio di Pantelleria, è sicuramente la vite ad alberello che oggi è la coltura più diffusa sull’isola. Il vigneto pantesco non ha nulla a che fare con quello tradizionale che tutti conosciamo. Le piante vengono potate in modo da non superare l’altezza del ginocchio e vengono poste al centro di buche scavate nella terra. Questo accorgimento migliora la protezione dal vento e allo stesso tempo permette alla vite di mantenere un ambiente protetto dove le foglie trattengono la poca umidità del terreno. La buca serve inoltre a raccogliere l’acqua piovana e convogliarla alle radici della pianta.

La forma ad alberello delle viti è definita dalla potatura. Le piante vengono lavorate in modo da avere un fusto poco sviluppato da cui si diparte un numero variabile di branche. Esse vengono potate in inverno eliminando tutti i tralci cresciuti in estate e mantenendo un paio di speroni per branca, tenuti corti in modo da portare solo la gemma di corona. Mancano i capi da frutto che nei vitigni tradizionali sono la parte più produttiva della pianta. Le viti ad alberello sono piccole e poco fruttifere, ma permettono di raggiungere alte densità per unità di superficie.
I vitigni panteschi non sono molto estesi. Il territorio di Pantelleria è impervio e recuperare ampi appezzamenti è difficile. La piana più grande è quella di Ghirlanda, il fondo di un’antica caldera nella parte sud-occidentale dell’isola. Soltanto in questa zona i vigneti raggiungono un’estensione paragonabile ai classici campi cui siamo abituati. Altrove occupano superfici di un ettaro o meno, spesso ricavate sui terrazzi che si spingono dai rilievi più alti fino al limitare degli scogli. Per rendere il vigneto coltivabile è essenziale dissodarlo, rimuovendo le rocce vulcaniche che sono ovunque a Pantelleria. Sull’isola non si butta via niente: quei massi servono per i muretti a secco che delimitano i campi.

La vite è presente a Pantelleria da tempo immemore, i primi a introdurla furono i fenici. Anche romani e arabi si dedicarono alla viticoltura sull’isola, trovando un terreno difficile da coltivare ma capace di produrre uva e vino di qualità. La varietà di vite più diffusa a Pantelleria è lo zibibbo o moscato d’Alessandria. Originario dell’Egitto, fu portato sull’isola nel nono secolo dagli arabi. Questa varietà è ottima sia come uva da tavola che da vino ed è l’unica ammessa per la produzione di sette delle otto tipologie di Pantelleria DOC.


Le viti di Pantelleria hanno spesso età di oltre quarant’anni, che è l’età tipica delle viti nei vigneti a filare. Una ventina di anni fa sono state scoperte viti a piede franco di oltre ottanta anni, un’età sorprendente, ormai si parla di piante centenarie! Viti di questo tipo sono rare perché tra la fine del 1800 e l’inizio del 1900, i vigneti di tutto il mondo furono attaccati e distrutti dalla filossera.
Si tratta di un insetto americano che estinse quasi completamente Vitis vinifera, la specie di vite coltivata in Europa e Asia. Da allora si coltivano viti innestate utilizzando come piede delle specie americane resistenti all’insetto. Pantelleria è uno dei pochi luoghi dove vegetano esemplari sopravvissuti alla piaga della filossera. Sono viti non innestate, a piede franco. In Italia se ne trovano altri esemplari in zone poco adatte al parassita, dove il terreno è vulcanico, sabbioso o al limitare della quota massima tollerata dalla vite.
Cappero
Affiancati ai vitigni panteschi, spesso si trovano i campi di capperi: la seconda ricchezza dell’isola. Chi annusa l’odore dei capperi di Pantelleria non lo dimentica. Quell’aroma intenso è unico, per non parlare del sapore sapido e deciso, capace di ravvivare anche i piatti più semplici.


A prima vista i campi di cappero e i vitigni sembrano simili: campi di terra costellati da cespugli verdi. I cespugli di cappero hanno però una forma diversa da quella delle viti. Sono più tondi e bassi e i numerosi rami si distendono a terra come tentacoli di un polpo vegetale. Il cappero è una pianta molto bella, dalle forme semplici e decise. Ha belle foglie tonde e carnose, di un verde brillante. I fiori portano grandi petali bianchi stropicciati, decorati da un vistoso pistillo circondato di stami altrettanto sviluppati.
La ricchezza del cappero sono i boccioli, i fiori non ancora schiusi. Le piante cominciano a produrli in tarda primavera e continuano a farlo per tutta l’estate. La raccolta del cappero è rimasta immutata nei secoli. Bisogna svolgerla rigorosamente a mano, usando le dita per staccare gentilmente i boccioli uno a uno. Se ne afferra uno tra pollice e indice e lo si fa ruotare, in modo che il peduncolo si rompa. La raccolta è un lavoro lento e ripetitivo: si rimane chinati sui cespugli per ore, raccogliendo due o tre manciate di capperi per pianta. Non è però noioso, anzi. Per immergersi nello spirito pantesco credo non ci sia modo migliore che dedicarsi alla raccolta dei capperi nelle ore fresche dell’alba.

Ogni 10-12 giorni bisogna tornare sulla stessa pianta, altrimenti i boccioli nuovi faranno in tempo ad aprirsi. Un cappero fiorito è bello, ma tradisce poca cura perché dietro a un fiore si nasconde un cappero dimenticato. Non tutto è però perduto quando la pianta fiorisce. Anche il frutto tenero (cocuncio) si conserva e consuma alla stregua dei capperi e lo stesso vale per le foglie e le cime tenere dei rami. Il cappero è il maiale di Pantelleria, non si butta via niente.
Tra le piante coltivate sull’isola il cappero è sicuramente la più resistente. Sopporta bene la siccità e ama i terreni rocciosi, riuscendo a infilarsi con le radici nelle fratture tra un masso e l’altro. Per questo i contadini li piantano nei terreni più poveri e poco adatti alle altre colture. Tanti muretti a secco abbandonati sono stati colonizzati dai capperi, che compaiono ovunque sull’isola. È il cappero la pianta che meglio incarna lo spirito di Pantelleria, almeno per me. Così resistente e perfettamente adattato all’isola, racchiude le caratteristiche di Pantelleria, della sua agricoltura e del paesaggio. Una pianta capace di produrre prodotti di eccellenza in un territorio impraticabile per tante altre colture.
Ulivo
Qua e là tra i campi di cappero e i vitigni non è insolito scorgere piccoli uliveti. La loro particolarità è che, come succede per le viti, anche gli olivi sono potati in modo da formare cespugli striscianti. Anche gli esemplari più vecchi non superano il metro di altezza, sviluppandosi invece in larghezza. Per dare questa forma alle piante, ai rami più giovani sono legate delle pietre che li tengono piegati verso terra. Il motivo è sempre lo stesso: proteggere le piante dal vento.



Rispetto a cappero e vite, quella dell’ulivo è una coltivazione meno diffusa; le poche piante dell’isola non sono nemmeno sufficienti a coprire il fabbisogno di olio di Pantelleria. Un tempo gli uliveti erano sicuramente più diffusi, specialmente sui versanti impervi, non adatti alla vite. Oggi vi è una lenta ripresa di questa coltura, anche perché gli ulivi richiedono meno lavoro. Le estati siccitose stanno però mettendo a prova la resa di queste coltivazioni. La mancanza di pioggia nei mesi estivi sta diventando più accentuata e ostacola la maturazione delle olive.
Il giardino pantesco
Non si può parlare di paesaggio e agricoltura a Pantelleria senza citare il giardino pantesco, ennesimo unicum dell’isola. Il giardino pantesco è il prototipo di ogni giardino: un albero di agrume circondato da un muro di pietre. Le mura di questa meraviglia sono alte tre-quattro metri e il diametro varia tra i sette e gli undici metri. La forma più diffusa delle mura è quella circolare, ma non mancano giardini quadrati, rettangolari o dalle forme insolite come ottagoni o pentagoni. Le mura sono imponenti e continue, l’unica breccia è una minuscola porta che serve per entrare nel giardino. Vi sono poi altre aperture secondarie che invece servono a incanalare l’acqua piovana alla pianta.
Dalle mura spunta solo la parte alta della chioma dell’agrume, creando un forte contrasto tra il nero della pietra vulcanica e il verde brillante delle foglie. All’apparenza la costruzione sembra semplice ed essenziale, ma in realtà i giardini panteschi hanno tante caratteristiche che li rendono un gioiello di tecnica agricola. Le ragioni del giardino pantesco, così come quelle di tutta l’agricoltura di Pantelleria, sono da ricercarsi nelle particolarità climatiche dell’isola.

Le mura del giardino proteggono l’agrume dal vento, impedendo alle correnti di sferzare i rami. Nei giardini più grandi la base delle mura è spessa anche due metri; un simile spessore non ha la sola funzione di trattenere i venti. Le spesse mura isolano il giardino dall’ambiente esterno, favorendo il mantenimento di un micro-clima favorevole per la pianta. Le mura proteggono dal sole la sua parte bassa e il terreno circostante, mantenendoli freschi anche durante le giornate estive. Bloccando i venti, le mura limitano la perdita di umidità dal suolo. D’inverno il giardino diventa una serra: le mura scure si scaldano e mantengono la pianta alla giusta temperatura anche nelle giornate più rigide.
Il giardino è progettato per aumentare la disponibilità di acqua piovana per il piccolo albero. Le correnti notturne che soffiano tra i blocchi delle mura, condensano un poco di umidità che nelle prime ore del mattino raggiunge la parte bassa delle mura e infine la pianta. La posizione di molti giardini nelle vicinanze di versanti o terrazzi non è casuale e ancora una volta ha che fare con l’acqua. I giardini panteschi sono collegati a una cisterna o a primitivi sistemi di canalette che convogliano l’acqua dalle regioni sovrastanti.
Il bordo superiore delle mura è inclinato verso l’interno, ennesimo stratagemma per raccogliere una maggiore quantità di pioggia e per anticipare l’arrivo del sole sulle foglie più alte. Si stima che l’acqua depositata all’interno di un giardino sia circa quattro volte maggiore rispetto alla sola pioggia caduta dal cielo. Tutti questi accorgimenti sono passivi, ma rendono davvero notevole l’efficienza del giardino pantesco e il suo livello di perfezionamento.
Quando si osserva un giardino pantesco bisognerebbe sempre ricordare cosa si nasconde dietro a quella architettura minimalista: sforzi giganteschi e un affinamento della costruzione durato millenni. Solo il paesaggio e l’agricoltura di Pantelleria potevano creare una struttura così incredibile. Ciò che però rimane difficile da comprendere davvero è perché i panteschi abbiano escogitato una costruzione così grande per proteggere un singolo albero. Sull’isola ci sono poche centinaia di giardini e quindi poche centinaia di agrumi. La produzione di arance e limoni è minima e riservata al consumo famigliare. Perché costruire i giardini? Per rendere ancor più difficile rispondere alla domanda si pensi al fatto che una volta costruito il giardino, ci vogliono decenni prima che l’albero cresca. A fruire del giardino non è mai chi lo ha creato.
La risposta potrebbe essere più semplice del previsto: perché il giardino pantesco è bello ed è il simbolo del rapporto tra l’uomo e il territorio di Pantelleria e della sua agricoltura. Ogni giardino è un paesaggio in miniatura, percepito da chi lo ha creato come una piccola Pantelleria di famiglia. Nello spazio di pochi metri tutti gli elementi caratteristici dell’isola sono riassunti ed esaltati in una purezza estetica che lascia senza parole. Il giardino pantesco non ha la pretesa di arricchire chi lo possiede o di produrre frutti in quantità, ma di suggestionare chi si imbatte nelle sue linee essenziali e celebrare ancora una volta un’isola davvero unica.
