La pista da sci scavata tra i ghiacciai di Zermatt e Cervinia

Riflessioni sull’adeguatezza di costruire una pista da sci sventrando i ghiacciai

Parliamo della vicenda che vede protagonisti gli interventi di “messa a punto” della pista da sci approntata sui ghiacciai del Monte Rosa per ospitare le gare di discesa libera di Coppa del Mondo dall’11 al 18 novembre 2023. Quella che segue è una trascrizione ampliata della chiacchierata andata in onda il 1 novembre 2023 tra me, Gianluca Ruggieri ed Elena Mordiglia, conduttori della trasmissione Il giusto clima di Radio Popolare. La riporto perché è stata un’occasione per affrontare questi temi, delicati e assurdi allo stesso tempo.

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Uno dei buldozzer al lavoro per preparare la pista da sci sul ghiacciaio di Valtournenche. Fotografia di Sebastien Anex/20min.ch.

Raschiare la superficie di un singolo ghiacciaio con i buldozzer non ha un impatto tangibile sulla condizione dei ghiacciai alpini. Sebbene quei mezzi meccanici, all’opera a quasi 4000 metri, non spostino di una virgola gli equilibri globali, essi sono un simbolo. La vicenda della pista scavata nei ghiacciai è emblematica di una sensibilità ambientale che in alcuni contesti fatica a radicarsi. Intervenire sui ghiacciai, sempre più compromessi a causa del cambiamento climatico, in modo così pesante, significa una cosa soltanto. Significa considerare i ghiacciai come un ennesimo elemento da spremere e plasmare per rispondere a specifici interessi economici. Al tempo del cambiamento climatico i ghiacciai, meravigliosa e minacciata manifestazione del mondo naturale, andrebbero prima di tutto protetti e tutelati. Ecco il testo dell’intervista.

L’intervista sulla pista da sci scavata sui ghiacciai del Monte Rosa

Riassunto della vicenda

Domanda: Pietro [Lacasella, intervistato prima di me sulla questione della pista da bob di Cortina] ci parlava di questa possibilità che le Alpi diventino un terreno di condivisione transfrontaliero, tu ne sei un esempio virtuoso da italiano che lavora in Svizzera. Ci sono però anche esempi piuttosto critici, come le gare di apertura della Coppa del Mondo di Sci Alpino di Zermatt-Cervinia, in programma dall’11 al 19 novembre prossimi. Ci vuoi spiegare qual è il problema?

Certamente. La questione riguarda una nuova pista da sci che è stata costruita nel comprensorio Zermatt-Cervinia. La pista, chiamata Gran Becca (nome alternativo dato al Cervino), è stata preparata per ospitare le gare di discesa libera della Coppa del Mondo in programma per metà novembre. Come hai ricordato, si tratta di una pista transfrontaliera. Parte dai 3800 metri della Gobba di Rollin, in territorio elvetico, e raggiunge i 2800 del Plan Maison, in territorio Italiano.

La pista si sviluppa per due terzi su ghiacciaio, con la parte svizzera tracciata sul ghiacciaio del Teodulo, e quella italiana che comprende una parte sul ghiacciaio di Valtournenche e una parte su terreno deglaciato. La pista è stata in realtà realizzata già l’anno scorso, ma la mancanza di neve rese impossibili le gare. Quest’anno, per limitare questa possibilità, le date delle competizioni sono state spostate in avanti di circa tre settimane.

Il tracciato della pista Gran Becca, da Matterhorn-Cervino Speed Opening.

Il caso mediatico legato a questa pista ha fatto il giro del mondo grazie all’impegno di un giornalista svizzero, Sebastien Anex. Intorno a metà ottobre Sebastien ha effettuato un reportage sulla parte della pista che percorre il ghiacciaio del Teodulo in Svizzera. Ha fotografato e documentato quanto stava accadendo lassù. Le fotografie ritraggono grandi buldozzer intenti a scavare il ghiaccio per fare spazio alla pista, movimentando la neve e alterando la condizione naturale del ghiacciaio. Oltre al lavoro di documentazione, Sebastien ha anche approfondito il discorso sulla legittimità di tali interventi. Grazie ai suoi solleciti è emerso che nella parte svizzera della pista, i lavori abbiano in parte sconfinato rispetto all’area individuata dalle autorità. Per il lato italiano, dove i lavori coinvolgono il ghiacciaio di Valtournenche, gli accertamenti sono ancora in corso, ma la procura di Aosta ha intanto aperto un fascicolo e sta indagando.

Ricordiamo infatti che i ghiacciai nel nostro paese sono tutelati ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio (decreto legislativo 42 del 2004), dove essi sono riconosciuti come beni paesaggistici soggetti a vincoli di tutela. Intervenire sui ghiacciai richiede quindi l’ottenimento di specifiche autorizzazioni. Aggiungo che se anche tutte le disposizioni di legge fossero state rispettate, rimarrebbe il fatto che intervenire in quel modo sui ghiacciai è del tutto anacronistico viste le condizioni in cui versano i ghiacciai alpini. Si parla di continuo di cambiamento climatico e declino del glacialismo. Impattare in quel modo su uno dei ghiacciai più in quota delle Alpi è inconcepibile.

Ci tengo a precisare che non sono il solo pronunciarsi in tal senso. Il Comitato Glaciologo Italiano, che raccoglie le principali studiose e studiosi di glacialismo italiani, si è espresso in modo simile.

Bulldozer al lavoro sui ghiacciai: è normale?

Fotografia di Jean-Christophe Bott/Keystone

Domanda: Le immagini delle macchine escavatrici sul ghiacciaio sono oggettivamente impressionanti, ma segnalano un effettivo problema per la sopravvivenza del ghiacciaio, o tutto sommato non è niente di diverso da quello che si fa abitualmente per preparare una pista?

Preparare una pista su ghiacciaio non come farlo sui classici terreni non glacializzati dove si sviluppa la maggior parte dei tracciati. Questo perché il ghiaccio di ghiacciaio, a differenza della roccia o dei sedimenti, è qualcosa di dinamico, in continuo movimento. I ghiacciai sono vivi. Per mantenere una pista su ghiacciaio è necessario compiere continui interventi di manutenzione. L’obiettivo è chiudere i crepacci, livellare la superficie ed eliminare qualsiasi imperfezione prodotta dal movimento del ghiaccio. Questi sforzi stanno diventando di anno in anno più intensi poiché le condizioni dei ghiacciai alla fine dell’estate sono sempre peggiori. A causa del cambiamento climatico che danneggia i ghiacciai, è necessario utilizzare sempre più combustibile per addomesticarli, contribuendo alla causa scatenante di tutto.

Insomma, si tratta di un cortocircuito, un cane che si morde la coda. Si tenta di risolvere un problema aggravando la causa primaria che lo sta producendo. La situazione mi ricorda un’altra vicenda che riguarda i ghiacciai: ovvero la posa dei teli per rallentarne la fusione. Anche in quel caso si interviene per diminuire il ritiro glaciale, ma al netto di tutto, quegli interventi hanno impatti ambientali tali da aggravare ulteriormente la causa primaria che sta provocando l’aumento delle temperature: le emissioni di carbonio in atmosfera.

Sia chiaro, scavare un singolo ghiacciaio con i bulldozer non ha un impatto reale sulla quantità di anidride carbonica presente in atmosfera, si tratta letteralmente di una goccia nell’oceano. La questione è simbolica. Il cambiamento climatico e il ritiro dei ghiacciai sono problemi sempre più gravi e impattanti. Allo stesso tempo però, una maggiore consapevolezza ambientale si diffonde tra la popolazione, rendendo questi interventi sempre più difficili da digerire. Osservare bulldozer che sventrano dei ghiacciai per fare spazio a una pista da sci, è come assistere a un camion che butta a mare un carico di provviste in tempo di carestia.

Il progetto di creazione di questa pista ha un’ampia sezione dedicata alla sotenibilità, il che mi lascia un poco perplesso. Come è possibile parlare di sostenibilità ambientale se il cuore del progetto è portato avanti da una flottiglia di escavatori che con grandi benne distrugge ghiaccio antico di decenni o addirittura secoli? Come spesso accade, temo che anche in questo caso la sostenibilità sia sbandierata più per opportunismo che non per la reale volontà di ridurre le emissioni e gli impatti.

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Fotografia di Sebastien Anex/20min.ch.

Lo stato dei ghiacciai alpini nel 2023

Domanda: Tu nella tua attività di ricerca ti occupi di ghiacciai. Che anno è stato fin qui il 2023 e quali sono le tendenze che state osservando nei ghiacciai alpini?

Purtroppo gli ultimi due anni sono stati i peggiori mai registrati per i ghiacciai alpini. Inverni siccitosi poveri di neve ed estati con temperature molto al di sopra della media hanno fatto sentire i loro effetti sui ghiacciai. Da un lato le scarse precipitazioni hanno prodotto manti sottili, che ai primi calori estivi sono fusi lasciando esposto il ghiaccio già da fine maggio l’anno scorso e da inizio luglio quest’anno. Le temperature poi sono state particolarmente alte. Tanto per dire, l’estate 2022 è stata la più calda di sempre per molti dei paesi alpini.

Quest’anno, che sarà il più caldo di sempre a livello globale, è andata un filo meglio sulle Alpi perché in tarda primavera ha nevicato un po’ di più. Ma l’estate calda ha vanificato quegli accumuli e i bilanci di massa dei ghiacciai sono stati decisamente negativi. L’anno scorso è stato il peggiore di sempre, quest’anno il secondo peggiore. Negli ultimi due anni il ritiro glaciale sembra aver messo una marcia in più. Per rappresentare i tassi di fusione di 2022 e 2023 è stato necessario aggiornare le scale dei grafici.

In generale, i ghiacciai alpini supersiti stanno vivendo una fase molto critica. La loro forma e dimensione sono completamente fuori equilibrio rispetto al clima attuale. Questo si traduce in tassi di fusione estremamente intensi, che coinvologno non solo gli strati superficiali, ma anche il ghiaccio in profondità. Il problema è che mentre il monitoraggio di quello che avviene in superficie è relativamente semplice, ciò che avviene in profondità è quasi del tutto inacessibile. Quando l’acqua di fusione inizia a lavorare all’interno dei ghiacciai, possono accadere eventi improvvisi difficili da prevedere, come quello della Marmolada nel 2022.

Insomma, i ghiacciai alpini non stanno affatto bene e questo è soprattutto vero per gli ultimi anni.

Quale il futuro degli sport invernali?

Domanda: Gli impatti dei cambiamenti climatici che state osservando sono compatibili con un prosieguo dell’attività degli sport invernali? Devono semplicemente adattarsi, magari prevedendo attività più ad alta quota o per periodi più limitati dell’anno, o dobbiamo rassegnarci al fatto che tra un po’ non ci saranno più olimpiadi invernali?

Questa non è una domanda facile. Sono coinvolti tanti interessi. Per cercare di vederci chiaro partiamo dai presupposti scientifici. Gli sport invernali dipendono da due fattori: precipitazioni nevose e temperature. I modelli e le osservazioni sono concordi nell’indicare che le precipitazioni non stanno modificandosi in modo sostanziale sulle Alpi. Discorso diverso per la temperatura. Sulle Alpi, dall’epoca pre-industriale, è aumentata di circa 2 gradi. Per paragone a livello globale l’aumento si ferma a 1.2 gradi. Le Alpi sono un punto caldo climatico e questa è una caratteristica di diverse zone montuose del pianeta.

Il fatto che la temperatura aumenti fa sì che parte delle precipitazioni che in passato cadevano nella forma di neve, ora cadono come pioggia. Ovviamente il discorso cambia a seconda della quota considerata. Più saliamo e più questo fenomeno si smussa. I grandi cambiamenti stanno avvenendo alle quote comprese tra i mille e i duemila metri, dove tra l’altro si sviluppa parte rilevante degli impianti per lo sci alpino. Ovviamente, in un mondo sempre più caldo ci sarà sempre meno spazio per la neve e per i ghiacciai. I modelli ci dicono che entro la fine del secolo la stagione “buona” per lo sci alpino sulle Alpi si accorcerà di circa un mese all’inizio dell’inverno e di circa due mesi tra inverno e primavera. Questo è lo scenario che le stazioni turistiche invernali devono considerare. Non si scappa.

Uno studio dell’anno scorso ha appurato che entro la fine del secolo l’ultima località che potrà ospitare le olimpiadi invernali sarà Sapporo in Giappone. Tutte le altre, comprese quelle nel nostro paese, saranno molto probabilmente inadatte. Discorso analogo vale ovviamente per le attività turistiche legate a questi ambiti. Meno spazio per la neve impicherà sicuramenta anche meno spazio per gli sport invernali.

Quale turismo invernale per il futuro?

Domanda: Più in generale che impatti può avere sul turismo di montagna e anche sulle prospettive economiche e sociali di quei territori che hanno sacrificato tanto alla possibilità di ottenere profitti dalle attività turistiche? è necessario un ripensamento complessivo?

La capacità di adattamento gioca un ruolo chiave e questo vale non soltanto per questo specifico ambito quando si parla di cambiamento climatico. Da questo punto di vista oggi può essere ancora conveniente, almeno da un punto di vista economico, fare di tutto per salvare il modello turistico invernale che si è sviluppato in passato. Ma al cambiamento climatico non si scappa, prima o poi bisognerà per forza di cose cambiare paradigma. Condizioni sempre più difficili, spese crescenti legate all’innevamento artificiale e stagioni sempre più brevi stanno erodendo i profitti generati dallo sci alpino.

Chi si adeguerà per primo al nuovo clima avrà la possibilità di compiere una transizione dolce, limitando i danni. Chi invece farà finta di niente -per usare una metafora- non frenerà prima del muro e si schianterà a tutta velocità. Adattarsi al cambiamento climatico diventerà presto un’opportunità anche economica, perché permetterà in prospettiva di risparmiare e trovare nuove soluzioni di profitto meno dipendenti dalla neve. Speriamo che in tanti siano lungimiranti e cerchino di avviare questa transizione il prima possibile, non soltanto in questo campo.

Da dove nasce la consapevolezza per l’ambiente?

Domanda: Abbiamo parlato di due vicende diverse ma emblematiche, come quella della pista da bob per le olimpiadi prevista inizialmente a Cortina e quella delle gare di sci previste tra due fine settimana sui ghiacciai di Zermatt e Cervinia. Due vicende emblematiche delle contraddizioni del nostro tempo. Uno dei segnali secondo me interessanti è che anche alcuni sportivi professionisti, direttamente impattati da queste due vicende, si sono sentiti di poter e dover esprimere le loro perplessità, anche a costo di farsi parecchi nemici. Anche nella società civile si sono sentite tante voci di dissenso, ma sembra che per molti versi i decisori, sia i decisori politici che quelli delle federazioni sportive e anche quelli degli sponsor coinvolti, fatichino ad abbandonare approcci superati: è una lettura che condividi? cosa possiamo fare perché anche loro si adattino?

La condivido al cento per cento. Sebbene mi sembri che la sensibilità verso l’ambiente e la consapevolezza del cambiamento climatico siano temi sempre più diffusi nell’opinione pubblica, spesso colgo anche io uno scollamento tra questa base diffusa e il mondo politico. Il problema credo siano gli interessi economici in gioco e la mancanza di lungimiranza. Purtroppo molte decisioni che andrebbero nella direzione della maggior tutela ambientale non sono ancora convenienti da un punto di vista economico e questo rende la transizione più lenta. Sappiamo però che il profitto economico non è tutto. Inoltre, più aspettiamo a intervenire in modo serio e più gravi saranno le conseguenze del cambiamento climatico, anche a livello economico.

Presto o tardi la transizione diventerà conveniente a causa delle crescenti risorse che sarà necessario investire per rimediare ai danni prodotti dalla crisi climatica. Il problema principale è la mancanza di lungimiranza del mondo politico. Dovremmo agire oggi per migliorare la condizioni da qui ai prossimi decenni.

Al netto di ciò, osservo che l’attenzione del pubblico per questi temi è sempre maggiore. Vedere tante persone alla manifestazione per la pista da bob di Cortina è stato importante e testimonia il crescente radicamento di questi temi. Speriamo che presto tale attenzione si trasferisca anche al mondo politico.

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