Geologia e geodiversità delle Dolomiti: rocce e storie sepolte

Rocce dolomiti - geodiversità

La geologia nascosta sotto alla Dolomia: le rocce delle Dolomiti

Montagne e geologia: un binomio scontato ma spesso trascurato

Le Dolomiti sono tra le montagne più celebri. Perché sono così famose e conosciute? La varietà delle rocce che affiorano sulle Dolomiti ha un’importanza fondamentale. Scopriamo perché.

I monti sono espressione di vicende geologiche intricate dai milioni di anni che le hanno scandite. La bellezza e la fama di un dato gruppo montuoso dipendono in primis dalla storia geologica che si cela tra le sue pieghe. Questa riflessione dovrebbe essere scontata per gli appassionati di montagna, eppure solo raramente essi si interrogano sulle vicende geologiche che hanno plasmato i monti che frequentano.

Chi non ha dimestichezza con la geologia crede che questa disciplina abbia a che fare perlopiù con il riconoscimento delle rocce. Un granito qua, un basalto là, dolomite, arenaria; et voilà, il lavoro del geologo è concluso! Le cose sono molto più complesse. Distinguere una roccia dall’altra non è un esercizio di stile. Individuare le diverse rocce e formazioni permette di ricostruire la storia del paesaggio con cui abbiamo a che fare. Inoltre, oltre alle litologie non devono essere trascurate le forme e le strutture, anch’esse fondamentali per comprendere le vicende geologiche. Sì perché è proprio la storia geologica di un luogo a plasmarne l’aspetto, e non parlo esclusivamente della forma dei versanti, delle vette e così via.

La geologia ha infatti profondi effetti anche su caratteristiche ambientali che a prima vista sembrerebbero slegate dal contesto geologico. La maggior parte delle piante sono adattate a particolari substrati rocciosi (qui un racconto su faggi e abeti bianchi, affezionati a rocce diverse). Le caratteristiche di un bosco risentono quindi della geologia del substrato su cui esso si sviluppa. Una foresta però non è un mero insieme di alberi, è un ecosistema dove prosperano tante forme di vita. La presenza di un uccello in un tal bosco potrebbe dipendere dalla sua predilezione per una pianta, a sua volta legata all’affioramento di una particolare roccia. Molte caratteristiche del paesaggio sono legate alla sua storia geologica. Rimane da capire cosa renda quel particolare paesaggio più o meno bello di altri.

Dolomiti - Geodiversità - Pale di San Martino - Catena Settentrionale
La Catena Settentrionale delle Pale di San Martino, ammirata dai porfidi di Cima Iuri Brutto.

Geodiversità

Non c’è documentario o programma televisivo che tocchi temi naturalistici senza citare il concetto di biodiversità. Essa è la ricchezza di diversità delle forme di vita distribuite negli ecosistemi. Che sia un valore da tutelare, conservare e proteggere è indiscusso ed è facile capire il motivo di questa attenzione. Perdere una specie vivente è un danno irrimediabile, è un evento che porta alla scomparsa di qualcosa che ha impiegato milioni di anni per definirsi e svilupparsi. Un ecosistema poco bio-diverso è fragile perché la diversità è la migliore arma per contrastare i cambiamenti e riuscire ad adattarsi a essi. Inoltre la difesa della biodiversità pone una questione etica. Spesso sono i nostri impatti a diminuire la biodiversità, portando alla scomparsa di molte specie viventi.

Molto meno conosciuto è un concetto affine a quello di biodiversità: la geodiversità. Essa è la varietà di forme, materiali geologici e processi che costituiscono la Terra e più in piccolo un dato contesto naturale. Le due forme di diversità sono legate tra loro. La biodiversità è infatti particolarmente sviluppata laddove anche la geodiversità è ben espressa. Un paesaggio ricco geologicamente può ospitare molte specie viventi perché ogni formazione, struttura o affioramento contribuisce a definire nicchie ecologiche diverse, adatte a organismi diversi.

Secondo molti è proprio la geodiversità a rendere bello un gruppo montuoso. Dove tante formazioni affiorano a breve distanza, la morfologia superficiale è ricca e articolata perché ogni roccia è soggetta a processi diversi ed evolve nel tempo dando luogo a forme diverse. Inoltre come già ribadito, un paesaggio geo-diverso è spesso bio-diverso e anche la presenza di diverse comunità biologiche contribuisce a rendere un paesaggio più godibile di altri.

Pensateci quando vi ritroverete ad osservare un paesaggio di montagna e a esclamare “Che bello!”. Molto probabilmente starete osservando qualcosa di geo- e bio-diverso, con una complicata e interessante storia geologica alle spalle.

Dolomiti - Val Venegia - Pale di San Martino
Uno degli scorci più belli e fotografati delle Dolomiti: la Val Venegia.

Rocce delle Dolomiti: il trionfo della geodiversità

La fama e la bellezza delle Dolomiti affondano le proprie radici proprio nella geodiversità. Le ardite forme di queste montagne sono infatti il frutto della varietà dei processi geologici che le hanno scolpite e della loro intricata storia. I gruppi dolomitici nascondono tra le proprie rocce una successione di eventi che si sono susseguiti in centinaia di milioni di anni e hanno portato alla creazione di queste montagne meravigliose. Ambienti tropicali, aridi, lagune di mare caldo e poco profondo, eventi vulcanici, sprofondamenti del fondale oceanico: in un paesaggio dolomitico ci sono tutti questi elementi! La varietà di rocce e terreni ha prodotto forme contrastanti ma splendidamente combinate: nello spazio di un’occhiata si passa da verdi e dolci pascoli, addomesticati da una frequentazione millenaria, a vertigini mozzafiato di bianca dolomia.

Questa ricchezza di paesaggi e vedute è sostenuta e amplificata dalla diversità geologica delle Dolomiti, che in questa parte delle Alpi raggiunge uno dei suoi apici. Per scoprirne una piccola parte basta “scavare” sotto alla dolomia e scoprire le formazioni che si celano sotto a queste montagne. L’audacia delle pareti e delle vette di dolomitiche rende difficile distogliere lo sguardo da simili architetture, eppure vi assicuro che vale sicuramente la pena abbassare la vista e concentrarsi un poco anche su ciò che giace al di sotto delle Dolomiti.

1. Strati di Werfen

Strati di Werfen - Crode Rosse - Pale di San Martino
L’impressionante affioramento delle Crode Rosse, sotto al Cimòn della Pala. Si tratta di Strati di Werfen.

Le prime rocce che si incontrano sotto alle Dolomiti sono gli strati di Werfen, una complessa formazione definita da ben nove (dieci secondo alcuni) orizzonti secondari (membri). Ciascuno di essi è dotato di caratteristiche leggermente diverse ma nel loro insieme queste rocce definiscono affioramenti difficili da confondere. Laddove i processi erosivi hanno messo a nudo questi strati, essi si mostrano con spettacolari e intricate stratificazioni. Non sono rocce molto resistenti e raramente danno vita a versanti ripidi. Il loro spessore varia a seconda della località considerata e può spaziare da un centinaio di metri fino ad oltre 600 metri di sviluppo.

Che gli strati di Werfen siano le rocce su cui poggiano le Dolomiti è in realtà una semplificazione. Tra essi e la Dolomia sono presenti altre formazioni, dotate di scarso sviluppo e difficili da distinguere. Esse raccontano della graduale transizione dagli ambienti in cui si deposero gli strati di Werfen a quelli che diedero il via alla precipitazione dei calcari che oggi costituiscono le Dolomiti.

La stratificazione della formazione di Werfen ne tradisce l’origine sedimentaria: questi strati si sono deposti in un mare tropicale poco profondo, al limite della linea di emersione. Da un punto di vista paleontologico sono rocce piuttosto povere e non è un caso. Durante la deposizione di questi strati si è verificata l’estinzione di massa che sancisce il confine tra due periodi geologici: il Triassico e il Permiano, posto a circa 250 milioni di anni fa.

Questa è stata l’estinzione più devastante che la vita sulla Terra abbia affrontato. Cancellò circa il 75 % delle specie viventi. Gli strati di Werfen hanno registrato l’evento e mostrano infatti una biodiversità molto ridotta. Non fraintendiamo però, la formazione di Werfen è ricca di fossili ma di poche specie: tanti, ma tutti uguali. Le cause di questo evento sono incerte, ma sembra che le colossali eruzioni vulcaniche del Trappo Siberiano abbiano avuto un ruolo importante.

2. Formazione a Bellerophon

Più in profondità troviamo la formazione a Bellerophon che risale a circa 255 milioni di anni fa. Il nome è dovuto all’abbondante presenza di fossili di Bellerophon, un mollusco marino simile alla chiocciola di mare.

Come gli strati di Werfen, anche la formazione a Bellerophon si è deposta in un ambiente marino di bassa profondità: una vasta e calda laguna. Gli strati del Bellerophon sono caratterizzati dall’alternarsi di rocce chiare e scure, quasi nerastre. Sono ricchi di dolomie, marne (una combinazione di argilla e calcare) ed evaporiti. Quest’ultime sono i sedimenti prodotti dall’accumulo di minerali formatisi in acque in evaporazione. Avete presente le pozze di acqua marina che evaporando lasciano il sale? Ecco, quello è un minuscolo deposito evaporitico.

Il fatto che la formazione di queste rocce sia associata all’evaporazione dell’acqua marina ci dice che il clima a quell’epoca fosse caldo e che la laguna fosse poco profonda. Se così non fosse stato, la precipitazione dei minerali non sarebbe avvenuta in modo così efficiente. Da un punto di vista geografico le rocce a Bellerophon ci raccontano delle prime fasi di avanzata marina che avvennero in questo settore marginale dell’antico mare Tetide.

Il gesso (solfato di calcio) presente nella formazione a Bellerophon rende queste rocce plastiche, come mostrato dalle articolate pieghe che le attraversano. Il gesso è infatti un minerale molto tenero e le rocce che lo contengono tendono a piegarsi invece che a fratturarsi.

3. Arenarie di Val Gardena

Arenarie di Val Gardena - Dolomiti - Geodiversità
Arenarie di Val Gardena: evidente l’effetto dell’intensa erosione.

L’esplorazione continua in epoche più remote. Quando si ha a che fare con rocce e successioni stratigrafiche andare indietro nel tempo significa scavare in profondità, raggiungendo terreni via via più antichi. Questo sarebbe il mondo ideale, ma la tettonica complica le cose, facendo sì che rocce diverse affiorino dopo aver subito un sollevamento, in altri uno sprofondamento. Ecco perché l’Arenaria di Val Gardena compare in affioramenti frammentati e non sempre facilmente riconoscibili.

Il termine arenaria identifica le rocce prodotte dal consolidamento di sedimenti sabbiosi. L’arenaria è una roccia sedimentaria clastica. Ciò significa che essa è stata prodotta dall’accumulo di frammenti di rocce preesistenti che sono stati erosi, trasporti e depositati. Essendo costituita da sabbia più o meno cementata, non è una roccia particolarmente resistente. Questo è uno dei motivi per cui i suoi affioramenti non sono comuni: una volta esposti sono smantellati velocemente.

L’Arenaria di Val Gardena è facile da riconoscere grazie al colore rosso mattone. La differenza rispetto alla Formazione a Bellerophon che la sovrasta è fortissima, essendo quest’ultima bianca o grigiastra. Tale diversità cromatica racconta che l’Arenaria di Val Gardena si è deposta in un ambiente completamente diverso rispetto alle lagune del Bellerophon.

L’Arenaria non è infatti una formazione di origine marina. Circa 260 milioni di anni fa la regione delle Alpi Orientali era emersa e caratterizzata da un clima caldo di tipo tropicale. L’area Dolomitica era occupata da una pianura arida e circondata da antichi rilievi. Stagionalmente piogge torrenziali intaccavano i rilievi, trasportando sabbie e detriti.

L’Arenaria di Val Gardena è il risultato del consolidamento e della cementazione di questi sedimenti. A differenza delle rocce incontrate in precedenza, essa è una formazione depositata in ambiente continentale emerso e non più marino. I fossili presenti al suo interno riflettono questa diversità e sono infatti rari e legati a resti vegetali o impronte.

Osservando con attenzione questa formazione, è possibile rinvenire stratificazioni incrociate, ripple o poligoni di disseccamento. Queste forme testimoniano l’alternanza di periodi aridi e periodi umidi, suggerendo che quell’antica pianura fosse interessata da lunghi periodi siccitosi alternati a brevi e intense alluvioni. Era un clima aspro, figlio di un pianeta diverso da quello attuale.

Nella parte superiore della formazione tra i pacchi di arenaria rossiccia compaiono sempre più frequenti bande chiare: sono calcari e dolomiti e corrispondono ai primi episodi di avanzata marina che porteranno alla nascita della “laguna Dolomitica”. Poco più in alto comincia la Formazione a Bellerophon e ha inizio il dominio del mare.

Con le Arenari di Val Gardena ci spingiamo in epoche sempre più remote e difficili da immaginare, a testimonianza del fatto che quando consideriamo il tempo geologico nulla è perenne. Non i mari, le montagne e i fiumi e a raccontarcelo è proprio questa roccia. Come diceva Eraclito, tutto è in continuo divenire; anche le montagne, basta considerare i tempi giusti.

4. Vulcaniti Permiane (porfidi)

Lagorai - Tognazza - Porfido
Una delle pareti di porfido più celebri del Lagorai: la Tognazza. Lungo queste placche corrono molte vie di arrampicata di grande difficoltà.

I fiumi stagionali che trasportavano le sabbie da cui hanno avuto origine le Arenarie di qui sopra provenivano da antichi rilievi di origine vulcanica. Essi sono ancora ben visibili nell’area dolomitica e sono noti con il nome di “Vulcaniti Permiane”. Sono rocce definite da una successione articolata di rocce di origine vulcanica. Il loro spessore è notevole, superando i 2 km di sviluppo verticale. Il termine Vulcaniti Permiane potrà suonare un poco astruso, ma queste rocce sono in realtà molto note. Costituiscono importanti catene montuose che circondano le Dolomiti Occidentali. Basti citare i Lagorai e il gruppo di Cima Bocche.

Il porfido è la più celebre roccia delle Vulcaniti Permiane e non solo perché queste montagne citate sono costituite da porfidi, ma anche perché sicuramente lo abbiamo calpestato in qualche città, dove è spesso usato per la pavimentazione dei centri storici. I famosi sampietrini sono di porfido, probabilmente cavati in Val di Cembra, non lontano da Trento.

Le Vulcaniti Permiane si sono formate tra 290 e 270 milioni di anni fa e sono il risultato di colossali eruzioni vulcaniche di tipo esplosivo che interessarono l’area intorno a Trento e Bolzano. Gli eventi vulcanici si susseguirono con violenza per venti milioni di anni, producendo devastanti flussi piroclastici (nubi ardenti). I prodotti vulcanici si accumularono fino a raggiungere gli spessori che osserviamo oggi.

Le eruzioni furono innescate dall’indebolimento della crosta terrestre che favorì la risalita dei magmi e l’attività vulcanica. Queste rocce hanno colori variabili, ma molte sono contraddistinte da un colore rossiccio e un aspetto particolare, con cristalli millimetrici immersi in una pasta uniforme. Tale aspetto (detto porfirico) è tipico delle rocce vulcaniche che si sono raffreddate a bassa profondità in tempi relativamente veloci, impedendo ai minerali di raggiungere dimensioni maggiori.

Lagorai - porfido - roccia - porfirica
La tessitura “porfirica” del porfido.

Essendo rocce vulcaniche, non sono presenti fossili al loro interno. Sono rocce resistenti e difatti danno luogo ad affioramenti grandiosi, con pareti verticali che si sviluppano per centinaia di metri. Resistenza e verticalità hanno reso i porfidi delle Vulcaniti Permiane un terreno alpinistico di prim’ordine, adatto a chi cerca alte difficoltà di arrampicata.

5. Basamento Cristallino

Val Pisorno - Basamento Cristallino - Geodiversità - Dolomiti
Dalla cristallina Val Pisorno verso le dolomitiche Pale.

Con queste rocce la scoperta della geologia sepolta sotto alle Dolomiti giunge al termine, perlomeno da un punto di vista temporale. Stiamo infatti per conoscere le rocce più antiche che affiorano nei dintorni dei gruppi dolomitici. Sono l’insieme di formazioni diverse che costituiscono il basamento roccioso più profondo presente sulle Alpi, il Basamento Cristallino.

Gli eventi che portano all’innalzamento di una catena montuosa (orogenesi) che hanno interessato la zona alpina sono stati diversi e ognuno ha dato un impulso alla formazione di nuove rocce e allo smantellamento di altre. Quando si solleva una catena si attivano processi di deformazione, sedimentazione ed erosione. Quest’ultima è capace di rimuovere enormi spessori di roccia nei milioni di anni, portando in superficie formazioni altrimenti celate in profondità.

Per tornare alle rocce del Basamento Cristallino, esse sono le rocce fortemente trasformate che erano state coinvolte nell’orogenesi precedente a quella alpina, quella ercinica, avvenuta circa 300 milioni di anni fa. In Europa si trovano diverse tracce di questo evento geologico. Il Massiccio Centrale francese, le alture occidentali della Penisola Iberica, i Monti Urali sono stati sollevati propria durante questa fase orogenetica. Ma altre tracce sono disseminate anche nelle Alpi e soprattutto nella parte più interna.

Le rocce del Basamento Cristallino sono state create dalla trasformazione di rocce preesistenti soggette a forti pressioni e temperature; sono rocce metamorfiche. Nelle Dolomiti non è facile individuare affioramenti estesi di queste formazioni. Nella maggior parte dei casi sono visibili piccoli lembi che affiorano localmente. Per trovare interi edifici montuosi formati da queste rocce antiche bisogna spostarsi verso la parte più interna delle Alpi, dove le rocce sedimentarie più giovani sono state rimosse.

C’è però un’eccezione che riguarda il gruppo delle Pale di San Martino, il più meridionale gruppo dolomitico. Qui montagne di dolomia e rocce metamorfiche si sfiorano: il fianco idrografico destro dell’alta Val Cismon è costituito in parte dal Basamento Cristallino. Esso forma una dorsale che in molti, sbagliando, considerano una propaggine del Lagorai. È la cresta che unisce Cima Tognola a Cima d’Arzòn. Queste cime sono costituite di filladi e scisti, rocce metamorfiche prodotte dalla trasformazione di antiche rocce sedimentarie. A conferma di questa natura le evidenti pieghe e deformazioni che le attraversano fittamente.

Particolari degli scisti (sx) e delle filladi (dx) che costituiscono il basamento cristallino della zona dolomitica.

Rocce delle Dolomiti: un piccolo assaggio dell’incredibile complessità di queste montagne incredibili

Con le rocce del basamento termina il viaggio a ritroso del tempo nelle profondità delle Dolomiti. Esse costituiscono infatti il nucleo più antico non solo della regione dolomitica, ma delle intere Alpi (con qualche piccola eccezione). Quello presentato qui è stato comunque solo un piccolo assaggio dell’incredibile geodiversità delle Dolomiti. Mancherebbero tante altre formazioni da descrivere e anche il racconto di come la storia geologica abbia lavorato in questa regione per trasformare un ambiente marino in un incredibile paesaggio alpino. Ghiacciai, eventi vulcanici, tettonica, cambiamenti climatici. Ognuno di questi elementi ha dato un contributo nel plasmare le Dolomiti e non dimentichiamo che anche noi ci abbiamo messo lo zampino.

Sì perché anche l’occupazione millenaria di vallate e passi e più in generale la cura del territorio hanno portato qualcosa in più al paesaggio delle Dolomiti. L’armonia (oggi sempre più in pericola in realtà) tra elementi naturali e antropici, come pascoli, boschi e villaggi, è sicuramente uno dei tratti più suggestivi di questi monti.

Mi meraviglio quando osservo queste montagne. Dall’alto sembrano atolli bianchi in un mare verde. Allo stesso tempo però rimango colpito dalla superficialità con cui molti approcciano queste cime famose. In ogni roccia è nascosta una storia incommensurabile. Cerco di tenerlo sempre in mente: anche in un sasso c’è un santuario della natura.

Dolomiti - Geodiversità - Geologia

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