Storia di A68: il più grande (e dimenticato) iceberg della Terra

6 Dicembre 2020

A68 - iceberg - Penisola Antartica - Antartide - Mare di Weddell

Che fine ha fatto l’iceberg che nel 2017 si è staccato dalla piattaforma di ghiaccio antartica Larsen-C?

Tre anni e non sentirli

Quando A68 ha mollato gli ormeggi nella Penisola Antartica ha attirato molta attenzione. Non capita tutti i giorni che una bestiolina di quelle dimensioni si stacchi da una piattaforma galleggiante di ghiaccio e prenda il largo come se niente fosse. Lui è A68 ed è L’ICEBERG. Si merita ogni maiuscola perché al momento è il più grande iceberg che solca gli oceani della Terra.

Quando nel luglio del 2017 si staccò dalla piattaforma di Larsen-C, nella Penisola Antartica, A68 fece un gran parlare di sé. È una storia che si ripete: le notizie legate a ghiacciai e cambiamento climatico attirano grande attenzione e poi, con la stessa velocità con cui si sono diffuse, rimpiombano nell’oblio più completo. Anche nel caso del nostro iceberg preferito è andata così. Dopo il 2017 quanti ne hanno sentito parlare? Credo nessuno e molti penseranno che quella piccola nazione di ghiaccio galleggiante sia ormai fusa e scomparsa da un pezzo. Se siete tra questi vi sbagliate!

A68 - iceberg - Penisola Antartica - Antartide - Mare di Weddell
Settembre 2017, l’iceberg A68 è ormai separato dalla piattaforma e lentamente si allontana nel Mare di Weddell (immagine satellitare: NASA).

Prima di scoprire che fine ha fatto A68, ripercorriamo gli eventi che hanno portato alla sua nascita. La frattura che ha separato A68 dal resto della piattaforma Larsen-C è comparsa per la prima volta nelle immagini satellitari nel lontano 2009. Per qualche anno non ha destato grandi preoccupazioni, ma le cose sono cambiate nel 2013, quando la spaccatura ha cominciato ad allargarsi e approfondirsi sempre più velocemente. Non pensate che una simile frattura sia simile a uno di quei crepacci che troviamo sulle Alpi. Nell’immagine di apertura la frattura è ripresa durante un volo aereo, impressionante vero? I bordi di ghiaccio hanno un altezza emersa di almeno 50 metri e la voragine è larga circa 150 metri. Insomma, per superarla non sarebbe bastato il solito saltino.

Dal 2013 la frattura si è insinuata per quattro anni all’interno della piattaforma e nel 2017 è finalmente riuscita nel suo intento: attraversarla da parte a parte dando vita al più grande iceberg della Terra. Per due anni A68 è rimasto praticamente immobile a poche decine di chilometri da Larsen-C, ma poi ha capito che era arrivato il momento giusto per allontanarsi da casa. Nel febbraio 2020 l’iceberg ha quindi lasciato il gelido Mare di Weddell e la Penisola Antartica per dirigersi ancora più a Nord, verso l’Oceano Meridionale che è sempre gelido ma un filino meno.

Oggi A68 ha tre anni e mezzo e gode di ottima salute, ma questo non deve sorprendere. È proprio il fatto di essere così grosso a rendere l’iceberg anche longevo. Quando A68 si è separato dalla piattaforma Larsen-C, misurava 170 x 50 chilometri e la sua parte emersa si elevava sulla superficie del mare per 40 metri. Chi ricorda il principio di Archimede impiegherà poco per realizzare che la parte sommersa raggiungeva oltre 350 metri di profondità.

Difficile dare un senso a questi numeri. Sulle Alpi i ghiacciai più grandi hanno lingue che si sviluppano per un paio di chilometri (spesso meno), eppure già fanno impressione. Ecco, tenete a mente che A68 è una tavola di ghiaccio più estesa della Val D’Aosta. Normale che impieghi un bel po’ di tempo a fondere completamente, soprattutto se le acque dove ama navigare hanno temperature di pochi gradi sopra lo zero. Nel suo primo anno e mezzo, la superficie di A68 si è ridotta di un misero 2 % e la sua altezza emersa è scesa di un paio di metri (corrispondenti a una fusione sommersa di circa 20 metri di spessore).

via Gfycat

Giusto per fare qualche confronto. Da quando l’Antartide è monitorato dai satelliti, il più grande iceberg osservato è stato B15, che si è staccato nel 2000 dalla piattaforma di Ross, nella parte opposta dell’Antartide rispetto ad A68. Al momento del distacco B15 misurava 300 x 40 chilometri, circa il doppio di A68. Le parti più grandi generate dalla frammentazione di questo gigante hanno impiegato otto anni per fondere completamente dopo aver percorso migliaia di chilometri. Alcuni hanno quasi raggiunto la Nuova Zelanda, fermandosi a poche decine di chilometri dalle sue coste.

Torniamo ora al nostro A68. Dopo aver deciso di esplorare l’Oceano Meridionale ha poi pensato che fosse arrivato il momento di metter su famiglia e a oggi ha messo al mondo due meravigliosi pargoli. Il maggiore si chiama A68-B e il minore -che però è più grosso- è (sorprendentemente) A68-C. La progenie glaciale che A68 sta spargendo per mezzo Oceano testimonia il suo lento ma inarrestabile declino. Sappiate però che sia il figlio -B che il -C misurano oltre cento chilometri quadrati e non sono certo bruscolini.

Adesso però viene il bello, perché dopo anni di oblio A68 ha deciso di voler nuovamente far parlare di sé. Forse vuole tornare agli onori della cronaca un’ultima volta prima di contribuire definitivamente all’innalzamento del livello del mare.

L’ultima frase contiene una sorta di licenza poetica. La fusione degli iceberg infatti NON contribuisce all’innalzamento del livello del mare perché un iceberg alla deriva ha GIÀ spostato una massa d’acqua pari alla propria stazza, determinando l’innalzamento. Il vero colpevole dell’aumento del livello del mare è il trasferimento di ghiaccio dalla terraferma agli oceani.

A68 - iceberg - Oceano Meridionale - Antartide
Un’immagine recente (settembre 2020) di A68: ha lasciato la Penisola Antartica e va alla deriva in mare aperto nell’Oceano Meridionale (NASA).

Capatina in Georgia Meridionale

Dopo aver lasciato la piattaforma Larsen-C, A68 ha cominciato a muoversi verso nord, risalendo le coste orientali della Penisola Antartica. Questo è il percorso classico seguito dagli iceberg antartici immersi nella corrente Antartica costiera. Gli iceberg più grandi, una volta raggiunta l’estremità della Penisola, passano alla corrente antartica circumpolare che a differenza di quella costiera si muove da ovest a est in senso orario in pieno Oceano Meridionale.

Questa corrente non è una delle tante: è infatti quella che muove la più grande quantità di acqua del nostro pianeta e nasce dall’incontro tra le gelide acque antartiche con quelle più calde di origine sub-polare. A causa dei contrasti termici, potrebbe essere un’idea non tanto buona quella di navigare laggiù. Tempeste e burrasche sono la norma e i marinai hanno coniato tutta una serie di amabili nomignoli per riferirsi ai venti che sferzano quei mari alle varie latitudini: Roaring Fourties, Furious Fifities, Screaming Sixities.

  • A68 - iceberg - Oceano Meridionale - Antartide
  • A68 - iceberg - Oceano Meridionale - Antartide

Data la stazza, A68 ha tranquillamente raggiunto la corrente antartica circumpolare e si muove ora verso nord-est. Nella maggior parte dei casi, la storia degli iceberg finisce qui, perché una volta entrati a contatto con le acque sub-polari la fusione procede più speditamente. Per A68 le cose non stanno andando così e sembra che non abbia nessuna intenzione di fermarsi o fratturarsi in parti più piccole. La sua corsa verso nord-est procede indisturbata, ma se osserviamo il tracciato del suo percorso, è evidente che l’iceberg si stia paurosamente avvicinando a una delle più importanti isole sup-polari: la Georgia Meridionale.

Ecco un finale degno di A68: andare a schiantarsi contro un’isola che è praticamente grande come l’iceberg stesso, decina di chilometri in più, decina di chilometri in meno.

Il lungo percorso di A68 dal Mare di Weddell alla Georgia Meridionale.

A68 è sempre più vicino all’isola. Cosa succederà non è chiaro. Le correnti superficiali -che intorno alle isole sono sempre piuttosto caotiche- potrebbero deviare A68 all’ultimo momento. Se però continuerà a seguire la rotta attuale, sembra davvero difficile che l’iceberg non entri in collisione con l’isola anche se probabilmente prima di raggiungere le coste si incaglierà sul fondale. Ricordate che la parte sommersa di A68 si sviluppa per centinaia di metri in profondità? Una volta ancorato potrebbe però rimanere lì per alcuni anni prima di sparire.

A oggi (6 dicembre 2020), la distanza tra A68 e la Georgia Meridionale è di 200 chilometri in diminuzione. L’informazione arriva dai piloti del distaccamento della Royal Air Force in servizio nell’Atlantico Meridionale, che hanno effettuato un volo di ricognizione per osservare l’iceberg (mica male come missione). Le foto (qui sotto) sono impressionanti. I piloti hanno provato a fotografare A68 nella sua interezza ma è stato impossibile, è troppo grosso e solo i satelliti ce la possono fare.

Gli effetti ambientali di un evento così catastrofico sono difficili da prevedere. C’è però un precedente: già nel 1998 un iceberg si è arenato nei dintorni della Georgia Meridionale e in quel caso i danni alle colonie di foche e pinguini furono notevoli. Ci furono estese morie di pulcini e cuccioli perché gli adulti non riuscivano a procacciare il cibo: l’iceberg occupava tutti i loro territori di caccia.

L’iceberg A38, “spiaggiato” a 100 km dalle coste della Georgia Meridionale nel 2004 (NASA).

Alcuni pensano però che l’incagliamento di A68 potrebbe avere anche effetti ecologici positivi. Nel ghiaccio degli iceberg è intrappolata polvere minerale proveniente dai ghiacciai continentali che hanno generato l’iceberg stesso. Durante la fusione, la polvere è dispersa insieme all’acqua nell’oceano e potrebbe fertilizzare il plankton, dando un impulso a tutta la rete trofica che popola quei gelidi mari.

Comunque la mettiamo questa storia ha tutte le carte in regola per regalarci uno spettacolo naturale irripetibile, forgiato dalla selvaggia e glaciale durezza degli ambienti polari. Chissà i fortunati che avranno l’onore di assistere cosa si troveranno davanti. Provo a immaginarlo anche se so che è difficile. Da un gelido promontorio della Georgia Meridionale scruteranno il mare burrascoso e mezzo confuso con l’orizzonte lattiginoso dell’Oceano Meridionale, dove le nuvole non smettono mai di inseguirsi. Scorgeranno una tavola bianca sollevarsi dall’acqua scura a perdita d’occhio. Lentamente sarà intaccata dal mare in burrasca, ma rimarrà a guardia dell’isola per tanto tempo e forse prima di scomparire sarà diventata una presenza famigliare.

E il cambiamento climatico?

Quando in ballo c’è una storia che parla di ghiacciai, correnti oceaniche e regioni polari sarebbe strano non citare il cambiamento climatico. La vicenda di A68 in fin dei conti è un’espressione grandiosa del funzionamento del sistema climatico terrestre e coinvolge le dinamiche glaciali, quelle oceaniche e ovviamente il cambiamento climatico stesso.

Che le grandi piattaforme di ghiaccio in Antartide rilascino enormi iceberg è fisiologico. In inglese c’è un termine che descrive il processo ed è calving. In Antartide tutti i ghiacciai terminano in mare e perdono massa non attraverso la fusione come sulle nostre montagne, ma appunto scaricando nell’oceano una quantità incommensurabile di ghiaccio sotto forma di iceberg. Insomma, di iceberg come A68 l’Antartide ne ha sempre prodotti e sempre ne produrrà. Il problema è che questi eventi stanno diventando più frequenti e molte delle piattaforme antartiche si stanno progressivamente assottigliando e riducendo.

Quando A68 si è staccato dal Larsen-C, la piattaforma ha immediatamente perso il 10 % della superficie, toccando il record negativo di estensione da quando monitoriamo i ghiacciai antartici e con tutta probabilità dall’inizio dell’Olocene (l’Olocene è il periodo interglaciale attuale ed è cominciato circa 12.000 anni fa).

Quando le piattaforme perdono parti così consistenti, il rischio è che tutta la struttura di ghiaccio galleggiante diventi instabile e collassi su sé stessa. Le piattaforme sono infatti il risultato di delicati equilibri tra la forza galleggiante del ghiaccio, l’interazione con il fondale marino, con le correnti oceaniche e i venti. La rimozione di una porzione estesa come A68 in un tempo così breve sta inevitabilmente portando al riassetto dell’intera struttura. Riuscirà a raggiungere un nuovo equilibrio? Forse sì, ma state certi che nel giro di qualche decennio ci saranno nuovi eventi di calving a indebolire Larsen-C poiché le correnti oceaniche sono sempre più calde e “mangiano” il ghiaccio da sotto. Ecco perché stanno diventando sempre più deboli e arretrano.

Le piattaforme Larsen-A e -B sono già scomparse, la prima nel 1995 e la seconda nel 2006. Il motivo è sempre lo stesso, l’indebolimento arrivato dall’oceano. Entrambe hanno cominciato ad arretrare e poi a un certo punto sono andate in frantumi perché tutta la struttura non era più stabile.

Il collasso di Larsen-B

Come dicevamo prima, la fusione e la scomparsa del ghiaccio galleggiante (sia esso una piattaforma o un iceberg) non contribuiscono all’innalzamento del livello del mare. Tuttavia, le piattaforme antartiche fungono da tappo ed evitano che le enormi quantità di ghiaccio accumulate a monte sull’Antartide continentale non finiscano in mare troppo velocemente. In inglese si dice effetto buttressing che non so bene come tradurre, forse contrafforte, ma suona meno bene.

Quando una piattaforma scompare, i ghiacciai che la alimentano a monte cominciano a scorrere verso il mare molto più velocemente perché non sono più frenati dalla presenza della piattaforma stessa. Ecco, quel ghiaccio che arriva dal continente, quello sì, può portare a un innalzamento del mare. È stato stimato che se Larsen-C collasserà, i ghiacciai della Penisola Antartica riverseranno in mare una quantità di ghiaccio equivalente a svariati centimetri di innalzamento nei mari di tutto il mondo. La storia prende una brutta piega.

Non poteva che andare così d’altronde; purtroppo i ghiacciai e la criosfera nel suo insieme non stanno vivendo un bel periodo sul nostro pianeta. La storia di A68 è un ennesimo messaggio che il pianeta ci sta dando, sapremo coglierlo o lo ignoreremo, facendo finta di non vedere che è solo la punta dell’iceberg?

Per approfondire

Jansen et al. Newly developing rift in Larsen C ice shelf presents significant risk to stability. Cryosphere 9: 1223-1227 (2015).

Han et al. Changes in a Giant Iceberg Created from the Collapse of the Larsen C Ice Shelf, Antarctic Peninsula, Derived from Sentinel-1 and CryoSat-2 Data. Remote Sensing 11: 404, https://doi.org/10.3390/rs11040404 (2019).

Hogg & Hilmar-Gudmundsson. Impacts of the Larsen-C ice shelf calving event. Nature Climate Change 7: 540-542 (2017).

Rackow & Jensen. A brief history of A68, the world’s largest iceberg. EGU Cryospheric Sciences Blog (2020).

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