15 Ottobre 2021

In cammino sulle Melette: da Foza a Gallio in prima linea
La magia dell’Altipiano
Lo interruppe il capitano della 9a. Con un dito sulla bocca e con un filo di voce, lo invitava a tacere. Di fronte a noi, dalla stessa direzione in cui era caduta la pattuglia, ma più vicino, ci veniva un rumore, come un bisbiglio di persone che bisticcino. Il capitano guardava di fronte. I tiratori scelti puntavano i fucili. Anche il comandante di battaglione ed io ci portammo silenziosamente sulla linea e guardammo.
Il rumore proveniva dal tronco di un grosso abete che i raggi del sole, fra le cime degli altri abeti, illuminavano a tratti. Con salti, due scoiattoli apparvero sul tronco, a qualche metro da terra. Veloci, si rincorrevano, si nascondevano, si rincorrevano ancora e si rinascondevano. Piccoli strilli, come risa mal contenute, salutavano il loro incontro ogni volta che, dalle opposte parti del tronco, si slanciavano a balzi, l’un contro l’altro. E ogni volta si fermavano, in un disco di sole riflesso sul tronco, si drizzavano, sulle zampe posteriori e, con le altre zampe, a guisa di mani, sembravano farsi complimenti, carezze e feste. Il sole rischiarava il ventre bianco e i ciuffi delle code, ritti in alto, come due spazzole.
Uno dei tiratori scelti guardò il capitano della 9a e mormorò:
«Tiriamo?»
«Sei pazzo?» rispose il capitano sorpreso. «Sono tanto carini.»
Il capitano Canevacci si riavvicinò ai morti allineati.
«Il comandante di pattuglia deve vedere e non esser visto…» disse, riprendendo il sermone al caporale bosniaco.
Emilio Lussu, da “Un Anno sull’Altipiano”, 1938.

Emilio Lussu, l’Altipiano e la guerra
Se non avete letto “Un anno sull’Altipiano” di Emilio Lussu, fatelo, non ve ne pentirete. Mario Rigoni Stern disse che «Tra i libri sulla Prima Guerra Mondiale, Un Anno sull’Altipiano di Emilio Lussu è, per me, il più bello.» Certo si potrebbe pensare che Rigoni fosse di parte perché il libro racconta proprio della guerra tra le sue montagne, quelle dell’Altipiano dei Sette Comuni, ma non è così. Il libro di Lussu è prezioso.
Romanzo? Memoriale? Difficile classificarlo. Lussu nella prefazione dice: «Il lettore non troverà, in questo libro, né il romanzo, né la storia. Sono ricordi personali, riordinati alla meglio e limitati ad un anno, fra i quattro di guerra ai quali ho preso parte. Io non ho raccontato che quello che ho visto e mi ha maggiormente colpito.» Il libro è un resoconto in prima persona di alcuni eventi di guerra cui Lussu partecipò tra gli anni 1916 e 1917, quando la brigata Sassari, dove serviva come ufficiale di complemento, fu schierata sull’Altipiano dei Sette Comuni.
Ogni capitolo è una pennellata che disegna un’immagine di guerra. I capitoli definiscono brevi racconti legati dal procedere del tempo e da personaggi ricorrenti. Nell’insieme ne risulta un ritratto che racchiude in sé la vita di trincea, azioni, momenti di riposo, riflessioni sul senso della guerra, il turbamento delle famiglie e tanto altro.
Se c’è una caratteristica che distingue Un Anno sull’Altipiano da tanti altri libri sulla prima guerra mondiale, questa è la mancanza di retorica. Emilio Lussu descrive la guerra per come la visse, senza aggiungere altro: «Io mi sono spogliato anche della mia esperienza successiva e ho rievocato la guerra così come noi l’abbiamo realmente vissuta, con le idee e i sentimenti d’allora.» Sì, perché il libro fu scritto vent’anni dopo la guerra, e non a caso lontano dall’Italia.
Nel 1929 Lussu lasciò il paese, fuggendo dal confino a Lipari cui era stato condannato a causa del suo antifascismo. Poté tornare in Italia solo durante le fasi finali del secondo conflitto mondiale. La prima edizione di Un Anno sull’Altipiano uscì in Francia nel 1938, per le Edizioni Italiane di Coltura. D’altronde non avrebbe mai potuto pubblicare un testo simile in Italia. Lussu era un esule condannato dal regime. Sebbene questo già bastasse a rendere il libro impubblicabile, esso era inoltre l’antitesi della retorica fascista, impegnata ad ammantare la prima guerra di un’aura sacrale.

Nel libro di Lussu, di sacro non c’è nulla. Anzi, tante volte terminata una sua pagina si sente l’amaro in bocca. Emilio Lussu racconta che tante vite furono spezzate inutilmente, a causa di errate valutazioni, ordini dati da ufficiali inetti o tiri di artiglieria sbagliati. Lui stesso nel libro non nasconde di essere stato un fiero interventista prima del conflitto, ma dopo aver vissuto sulla propria pelle il conflitto e le sue assurdità, il suo pensiero cambiò. L’atteggiamento verso la guerra divenne di condanna.
Nonostante sia un libro tragico e triste, nella sua estrema lucidità Lussu sembra talvolta voler scucire un sorriso a chi lo legge, dipingendo vicende disperate con distaccata ironia. L’assurdità della guerra fu talmente grande da avvicinarsi al comico.
Il generale fece raccogliere un mucchio di sassi ai piedi del parapetto, e vi montò sopra, il binocolo agli occhi. Così dritto, egli restava scoperto dal petto alla testa.
«Signor generale,» dissi io, «gli austriaci hanno degli ottimi tiratori ed è pericoloso scoprirsi così.»
Il generale non mi rispose. Dritto, continuava a guardare con il binocolo. Dalle linee nemiche partirono due colpi di fucile. Le pallottole fischiarono attorno al generale. Egli rimase impassibile. Due altri colpi seguirono ai primi, e una palla sfiorò la trincea. Solo allora, composto e lento, egli discese. Io lo guardavo da vicino. Egli dimostrava un’indifferenza arrogante. Solo i suoi occhi giravano vertiginosamente. Sembravano le ruote di un’automobile in corsa.
La vedetta, che era di servizio a qualche passo da lui, continuava a guardare alla feritoia, e non si occupava del generale. Ma dei soldati e un caporale della 12a compagnia che era in linea, attratti dall’eccezionale spettacolo, s’erano fermati in crocchio, nella trincea, a fianco del generale, e guardavano, più diffidenti che ammirati. Essi certamente trovavano in quell’atteggiamento troppo intrepido del comandante di divisione, ragioni sufficienti per considerare, con una certa quale apprensione, la loro stessa sorte. Il generale contemplò i suoi spettatori con soddisfazione.
«Se non hai paura,» disse rivolto al caporale, «fa’ quello che ha fatto il tuo generale.»
«Signor sì,» rispose il caporale. E, appoggiato il fucile alla trincea, montò sul mucchio di sassi.
[…] Si era appena affacciato che fu accolto da una salva di fucileria. Gli austriaci, richiamati dalla precedente apparizione, attendevano coi fucili puntati. Il caporale rimase incolume. Impassibile, le braccia appoggiate sul parapetto, il petto scoperto, continuava a guardare di fronte.
«Bravo!» gridò il generale. «Ora puoi scendere.»
Dalla trincea nemica partì un colpo isolato. Il caporale si rovesciò indietro e cadde su di noi. Io mi curvai su di lui, La palla lo aveva colpito alla sommità del petto, sotto la clavicola, traversandolo da parte a parte. Il sangue gli usciva dalla bocca. Gli occhi socchiusi, il respiro affannoso, mormorava:
«Non è niente.»
Il generale si curvò. I soldati lo guardavano, con odio.
«È un eroe,» commentò il generale. «Un vero eroe.»
I fatti narrati non sono le gesta degli eroi, le vittorie sanguinose o i sacrifici patriottici. Lussu scrive di sé, di soldati semplici che obbediscono a ordini folli, di litri di cognac tracannati prima di un assalto, delle astuzie dei sottufficiali per aggirare ordini assurdi tentando di salvare qualche vita. Pur parlando di guerra, morti e sofferenze, Lussu è riuscito a rendere il suo libro semplice e facile da leggere. Non si ha mai l’impressione di avere tra le mani un libro pesante, anzi. Un Anno sull’Altipiano, come disse Calvino, è «un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire.»

Suggestioni sull’Altipiano
Non sono un gran conoscitore della prima guerra mondiale. Ho avuto occasione di osservare alcune sue testimonianze in montagna, soprattutto nella zona del Lagorai e di Passo Rolle, ma si è quasi sempre trattato di eventi accidentali. Prima di questa volta non avevo ancora ideato una gita pensando ai segni della guerra che mi sarei ritrovato sotto agli occhi.
Da qualche anno trascorro del tempo a Foza, sull’Altipiano dei Sette Comuni. Pian piano ho imparato a conoscere l’Altipiano e i suoi sentieri, specialmente quelli che si intrecciano tra Foza, Gallio e Asiago. Per chi conosce l’Altipiano, questa è la seconda delle tre fasce che lo definiscono. C’è quella meridionale, affacciata alla Pianura Veneta, quella più settentrionale, che è anche la più alta e che termina a sbalzo verso la Valsugana, e c’è poi appunto la fascia intermedia. Quest’ultima fa da raccordo tra le altre e corrisponde al salto topografico che sancisce il passaggio dalle alture collinari della fascia meridionale, alla parte più alta e alpina dell’Altipiano che si sviluppa a nord. Cinque dei Sette Comuni si trovano annidati nelle conche che si sviluppano proprio ai piedi del risalto: Roana, Asiago, Gallio, Foza ed Enego.
Camminando sull’Altipiano è davvero impossibile non lasciarsi suggestionare dalle tracce della grande guerra. I suoi segni sono ovunque: cippi, croci, crateri nei pascoli, cimiteri, iscrizioni, trincee. Sebbene la montagna si sia riappropriata degli squarci lasciati dalla guerra, le cicatrici inferte al paesaggio sono ancora ben visibili ed è impossibile non lasciarsi suggestionare da esse.
Quando alla fine quest’estate mi trovavo a Foza, una mattina ho deciso: sarei partito a piedi da casa per raggiungere Gallio, passando per i luoghi dell’Altipiano dove avvennero i combattimenti narrati da Emilio Lussu nel suo libro.


Da Foza a Gallio, passando per i campi di battaglia
Mi emoziona sempre trovare in un classico della letteratura un riferimento a un luogo che ben conosco. Se ho dimestichezza con un luogo, significa che ho un legame con esso e che qualcosa me lo rende caro. Forse mi emoziono perché penso che anche un grande scrittore si è legato a quello stesso luogo. Questo per dire che ogni volta che leggo Un Anno sull’Altipiano e incontro i rimandi a Foza, Stoccareddo, Monte Fior, Gallio, rimango sorpreso.
È stato proprio grazie a questa sensazione che mi sono deciso a compiere la traversata. Volevo mettere in fila i luoghi narrati da Lussu e percorrerli nella stessa giornata, partendo a piedi da casa e avventurandomi sull’Altipiano. Egli arrivò sull’altipiano nel giugno 1916 e la prima sua notte quassù la passò proprio vicino a Foza. Da lì venne mandato in prima linea con il suo battaglione, a difendere le posizioni di Monte Spil, Monte Fior e Castelgomberto dopo l’avanzata austro-ungarica di poche settimane prima (impropriamente chiamata da noi italiani Strafexpedition, spedizione punitiva). Nell’anno che trascorse sull’Altipiano fu poi spostato più a occidente, sopra a Gallio, non lontano da Monte Zebio.

Il percorso
L’itinerario che ho seguito per percorrere queste tracce è partito proprio da Foza (1083 m). Non avevo con me carte né altro per orientarmi, ma negli anni scorsi avevo già percorso i vari tratti dell’itinerario. Non rimaneva che cucirli e mettere insieme una bella traversata fino a Gallio, seguendo i vari risalti delle Melette di Foza e di Gallio.
Da Foza ho subito raggiunto le Melette di Foza prendendo il sentiero che sale il versante sopra al paese (Monte Miela) dritto per dritto, attraversando un bosco d’abeti in parte schiantato da Vaia. Ci sarebbe stata un’alternativa più comoda e meno ripida: passare poco più ad est dalla Val Vecchia e raggiungere Malga Lora (dove Lussu ricevette i suoi primi ordini sull’altipiano). Questa secondo sentiero è però inagibile per via degli alberi caduti.
Da Foza alle Melette sono circa seicento metri di dislivello, è sicuramente la parte più faticosa del percorso. Arrivato a Malga Meletta (1700 m) ho seguita la strada sterrata che si mantiene in quota verso sinistra, in direzione di Monte Fior. A ovest la vista si è aperta sulle conche di Gallio e Asiago e poco più in basso, al limitare del bosco, sono comparsi i bastioni della Città di Roccia, le curiose stratificazioni calcaree plasmate dall’erosione carsica. Ho seguito la strada fino alle indicazioni per Monte Spil, che deviano su un sentiero a destra. Le tracce delle trincee scavate nella roccia si sono fatte sempre più evidenti. Ero ormai in prima linea, dove Lussu combatté gli scontri più feroci cui prese parte sull’Altipiano.

Monte Spil (1808 m) è un grande cucuzzolo erboso, dalla cima poco definita. Monte Fior (1824 m) è a poca distanza, una manciata di metri più alto. Il sentiero che arriva sulla vetta segue proprio le antiche linee, con le trincee che corrono parallele al percorso.
Da Monte Fior sono arrivato a Monte Castelgomberto (1771 m), ben riconoscibile per via del grande capitello sulla sua cima. È dedicato alla memoria del generale Euclide Turba, che cadde nei dintorni della sella che separa il Fior dal Castelgomberto (selletta Stringa). Qui le trincee si sono fatte ancor più numerose e suggestive. Sono scavate in un grande pavimento carsico, già inciso ed eroso dalle acque, sembra quasi si intreccino naturalmente con i solchi scavati dal ruscellamento nel calcare. I rari alberi intorno alla cima, le trincee e il grande capitello, rendono il Castelgomberto un luogo davvero unico, un memoriale naturale.
A far risaltare le alture delle Melette di Foza, è anche il contrasto con le distese della Marcesina subito a nord. In quei grandi spazi interi boschi sono stati schiantati da Vaia e all’orizzonte pare di scorgere un campo di battaglia. I boschi del Castelgomberto, del Tondarecar e della conca di Malga Lora sono invece ancora in piedi e non mostrano le radure aperte dalla furia dei venti.


Dal Castelgomberto sono ripassato da selletta Stringa e da qui si ho continuato per Malga Slapeur che ho raggiunto attraversando un bosco disseminato di grandi doline carsiche e campi carreggiati. La Malga è a poca distanza dall’omonima Bocchetta, dove un grande monumento ricorda i soldati bosniaci che qui ebbero tanti caduti, proprio nei giorni delle battaglie di Emilio Lussu, come lui stesso ricorda.
Dalla Bocchetta ho imboccato una strada sterrata diretta verso la Piana della Marcesina. L’ho seguita fino a incrociare i vecchi impianti di risalita che portavano in cima alle Melette di Gallio. Lì ho deviato e sono risalito lungo le piste abbandonate. Luogo desolato, con i casotti e i vecchi ristori in rovina. Da quello che so, c’è la volontà di rimettere questa stazione sciistica in attività grazie all’innevamento artificiale. Considerata la quota (meno di 2000 m) e la completa mancanza di acqua, mi chiedo se investire in simili progetti abbia senso o sia soltanto l’ennesima speculazione a perdere.
La traversata continua. Dalle Melette di Gallio sono sceso verso la valle di Campomulo, seguendo una traccia che percorre un’altra vecchia pista. Da qui in poi la bellezza del paesaggio è sicuramente stata compromessa dai tanti e vecchi impianti e piste. Arrivato al fondovalle un’ultima salita sul versante opposto, seguendo ancora una pista da sci, recentemente allargata con un grande sbancamento. La salita termina ai piedi di un’antenna, posta su una bocchetta a circa 1530 m (croce Ongara). Dopo aver scollinato mi sono addentrato nel bosco, seguendo l’unica traccia evidente. Dopo poco sono uscito tra i pascoli sopra a Gallio e ho raggiunto il paese.
Alla fine il percorso si è snodato per circa sedici chilometri, con un dislivello di mille metri. A parte la prima salita da Foza, le pendenze sono sempre molto dolci e l’itinerario può essere percorso con grande tranquillità, soffermandosi a osservare le tante tracce che si incontrano un po’ ovunque. Certo la parte più bella e interessante è la prima, fino a Malga Slapeur. Il secondo tratto percorre diverse piste e si snoda spesso sotto agli impianti. Rimane comunque una bellissima traversata, che permette di visitare molti dei luoghi più celebri dell’Altipiano nell’arco di un’unica giornata.
Perché l’Altipiano?
Emilio Lussu combatté per quattro anni, passando dal fronte del Carso, all’Altipiano dei Sette Comuni, all’Isonzo. Eppure nel suo libro scelse di raccontare solamente l’anno che trascorse sull’Altipiano. Forse scorse tra questi monti qualcosa che non trovò altrove. Nonostante ciò, terminata la guerra scelse di non tornare. Il ricordo dei compagni caduti gli sarebbe stato insopportabile, così disse a Rigoni Stern quando questi lo invitò a ripercorrere questi luoghi. Per me rimangono montagne dolci e tranquille e non ho ricordi spaventosi a guastarne il ricordo. Osserverò però le tante cicatrici lasciate nel paesaggio e cercherò di ricordare le parole di Lussu e dei tanti che qui vissero quelle giornate terribili.
gita del 2 settembre 2021
